Capitolo 12 “L’Isola dove i popoli si fermarono per un caffè”

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Tra le strade di Milano si incontra chiunque. E il chiunque viene da dovunque. Una miriade di gente proveniente dai luoghi più vari. Una metropoli che respira mondo. Una città che è casa di tutti. Così, la bella Milano si è aggiudicata un posto tra quelle città che appartengono a tutti e a nessuno. Dove gli autoctoni diventano stranieri e gli stranieri diventano cittadini.  New York, Parigi, Londra, Milano. In comune quella esilarante atmosfera chiamata internazionalità.

Il Siciliano Espatriato che a Milano inala aria di mondo, si prende all’inizio un bel raffreddore. Abituato a stare tra siculi, e soltanto siculi, dovrà socializzare con i popoli più disparati.

Basta camminare per le vie milanesi per incontrare i cosiddetti “stranieri”. Come i modelli e le modelle, di norma alti, magri, belli, statuari e perfetti. Spesso persi, si aggirano cercando l’agenzia di riferimento e può capitare che ti chiedano indicazioni. E tu, che hai a malapena imparato la strada da casa tua al supermercato (giusto spinto da spirito di  sopravvivenza), ti ritroverai a fare da cicerone, in uno pseudo-inglese, per regalare un po’ di bellezza alla tua giornata. D’altronde dicono che la bellezza salverà il mondo. Dunque, probabilmente, negli anni a venire il modello di D&G in “slippino” bianco vincerà il Nobel per la Pace, ed ecco spiegato perché le “Miss” oggi siedono in Parlamento.

E’ facile inoltre incontrare a Milano stranieri nei locali, nelle discoteche e per strada. Già il Siciliano Espatriato ha difficoltà a farsi capire in inglese da sobrio, figuriamoci notte tempo tra un bicchiere ed un altro. Ma si ricrederà ben presto, scoprendo che il buon amico alcool gli dà una padronanza eccelsa del british. E socializzerà anche con loro. Non sorprende che la sera a Milano si può andare a bere in un ostello, così i turisti in visita e i giovani della notte si dilettano bevendosi una pinta di internazionalità metropolitana.

Lo scontro con la famigerata internazionalità continua all’università. Per fare un piano di studi di economia e legge devi sapere l’inglese come un madrelingua. Quelli di lingue e letterature straniere, di conseguenza, dovranno padroneggiare come minimo il cinese o il russo. Scoprirai numerosi corsi di laurea bi/tri/quadrlingue.  Altri che per metà si svolgono in loco e per la restante metà dall’altro lato del mondo. L’impressione che hai è che vogliono spedirti subito da qualche parte, purché non sia Milano. La parola d’ordine è ESTERO. E tu, povero Siciliano Espatriato, che ancora cerchi di imparare quale sia la strada per tornare a casa dopo la lezione, ti ritrovi a selezionare mete per uno “scambio interculturale” che dovrai fare 2 anni dopo. Eppure, sbarcato a Milano, pensavi di essere in Erasmus da un bel  pezzo. Ma nonostante ti senta già come un hawaiano al Polo Nord, dovrai, volente o nolente, selezionare mete ancora più lontane. Luoghi che hai visto solo nei film. Altri che non sapevi neppure esistessero. E dopo pochi mesi di vita milanese, ti ritrovi a programmare un’altra vita da un’altra parte. Inizia la lotta contro il tempo per aggiudicarsi le mete più ambite per trascorrere un semestre all’estero. Si diffonde tra gli studenti una strana malattia, nota con il nome di “disturbo d’ansia generalizzato da meta Erasmus”. Il giorno in cui pubblicano i risultati delle selezioni, c’è un’attesa spasmodica. Urla di gioia. Urla di delusione. E tu, che stai caricando la pagina dell’International Office ogni 3 nanosecondi, finalmente scopri la tua meta. Non l’avevi selezionata. Anzi, non sapevi nemmeno esistesse, dove fosse, né tantomeno come si pronunciasse, ma eccola: Lodz. La tua prima esperienza all’estero sarà in Polonia. Riesci solo a pensare a: VODKA.

Pian piano, riscopri in te stesso un’ignota tendenza ad adattarti a questa famosa internazionalità milanese. Tutte le prove che hai incontrato, sei riuscite a superarle egregiamente. E la metropoli straniera che appartiene agli stranieri, inizia ad appartenere anche a te.

Quello a cui non avevi mai pensato è che in realtà hai una propensione naturale all’internazionalità. Erroneamente ritenuto posto selvaggio, sperduto e provinciale, l’Isola è la culla dell’internazionalità. Se i Milanesi hanno le modelle, gli uomini d’affari, gli studenti e i turisti, anche la Sicilia ha i suoi stranieri. Certo pensare a stranieri a Palermo, vuol dire immediatamente pensare al turista grasso, bianco, in shorts che si aggira, tutto sudaticcio e puzzolente di crema solare, per Piazza Politeama. Se provi poi a chiedere un’indicazione in inglese su un autobus in città, ti risponderanno a gesti misti a dialetto siculo, ma in qualche modo si faranno capire. Se internazionale e Sicilia, a prima vista, sembrano stare bene insieme come il caciocavallo e la zuppa di cozze, la realtà è un’altra: siamo internazionali, multiculturali, cosmopoliti. L’Isola è sempre stato un posto dove i popoli passavano, si taliavano un po’ in giro, si bevevano un caffè. E si innamoravano. Fenici, Greci, Arabi, Normanni, Angioini, Svevi, Spagnoli. Arrivavano, dominavano e il siciliano accoglieva l’ospite.

La domanda a cui i siciliani sono stanchi di rispondere è, per esempio, “come mai se sei siciliano sei biondo con gli occhi chiari?” Tutti si aspettano lo stereotipo siculo nivuro e olivastro. E ti ritrovi a spiegare la manfrina dei simpatici Normanni nordici che giocarono anche loro a “conquista la Sicilia”.

E Lampedusa. Una briciola di terra, una porta per l’Europa. Noi Siciliani siamo sempre stati emigranti, e continuiamo ad espatriare. Ora invece c’è addirittura chi è messo così tanto male, da decidere di sbarcare in Sicilia. E noi che pensavamo di avere solo mare e sole. Da terra di emigranti siamo diventati luogo dove si emigra. Meta di nuovi espatriati. Resta solo da fare quello che ci viene meglio: ospitare.

Il Siciliano è tradizionalista, dalla mentalità chiusa, retrogrado, antico. Ma quando l’antico sa di mondo e la tradizione è quella di mille popoli, ecco che i due concetti diventano insieme internazionalità. L’isolano isolato nell’Isola ha incontrato tanti passanti ieri. E oggi ne incontra altri nuovi. I Siciliani sono un popolo nato dall’accozzaglia di culture, siamo come un succo multi-frutta che non ha un gusto definito, ma che è coloratissimo e pieno di vitamine. Siamo cresciuti nella storia intrecciata di mille popoli, e l’immagine uscita fuori da questo puzzle è il siciliano di oggi. La nostra naturale propensione alla diversità ci porta ad adattarci all’”altro”.  A non essere fuori luogo in un mondo che è ormai un solo mondo e basta.  A farci capire, anche senza sapere l’inglese, da un popolo che è ormai solo un popolo e basta.

Così ti abitui ben presto alla metropoli multi-etnica, perché anche se non sembra, tu, tra un cannolo e un’arancina, questo caffè con lo straniero l’hai bevuto da sempre.