Capitolo 20 “Masculi contro Fimmini: La rivincita dei Pinna”

masculi contro fimmini

Se la Siciliana Espatriata deve andare a caccia di Pinnoloni, resta da capire quale sia la giusta preda del Siciliano Espatriato.

L’uomo siculo è scaltro ed impara presto le categorie di donne che può incontrare nella sua vita, tuttavia imparare a riconoscerle è una sfida. Ma che sia Milano, New York o Palermo, le donne non cambiano e, prima o poi, scoprirai per ciascuna la sua categoria di appartenenza.

Prima regola che il Siciliano Espatriato deve imparare è che, qualunque sia la categoria di donna che incontra, una donna resta sempre una donna. Abbastanza rompipalle. Capricciosa, complicata e lunatica. Quasi sempre pretende che l’uomo capisca tutto da solo, senza doverglielo spiegare, e se non dovesse capirlo è uno stronzo insensibile. Perché gli deve venire tutto “spontaneo”, come se avesse il dono di leggere il pensiero. Mica può essere spiegato tutto. Così, spesso il Siciliano Espatriato scaltro sa che per rendere la sua donna contenta deve fare finta di “avere intuito tutto”, mentre in realtà non ha capito un cazzo.

Dando per scontata la difficoltà relazionale “masculo-fimmina”, presentiamo di seguito le categorie di Fimmini.

Prima tra tutte la PINNA. Se il mondo è pieno di Pinnoloni, la Pinna è un po’ più rara da trovare. Non necessariamente brutta (anzi molte sono carine) ma che si impegna al massimo per essere l’anti-sesso. Gonnellona a balze, collant spessi, maglioni larghi larghi e biancheria rinascimentale. Nella convinzione che prendersi cura dell’aspetto estetico sia per le deficienti, fa di tutto per apparire trascurata. Tra le donne è sicuramente la più soddisfatta. È intelligente e perspicace: prende subito coscienza del proprio status e lo trasforma in un vantaggio. Non è molto interessata agli uomini, gliene basta uno. Si trova un bel Pinnolone con i suoi occhialetti, il calzino bianco e il suo cervellone, ed è felice. La Pinna, al contrario del Pinnolone che di solito non è pienamente consapevole del suo essere, ha capito tutto della vita. E reputa mischine quelle povere stupide che tanto si affannano a piacere ai maschi: così impegnate tra smalti, capelli e rossetti perdono la cognizione della realtà. La Pinna invece è indipendente, sicura di sé e vincente nella vita. Il suo Pinnolone non la deluderà mai e nel loro tripudio di Pinnolaggine saranno per sempre felici e contenti. Un’esplosione di genialità.

All’ opposto della Pinna c’è la CALIA. Come direbbe una nonna siciliana: “Sì scimunitu com’a calia” (“calia” e “simenza” sono rispettivamente ceci e semi di zucca abbrustoliti tipicamente venduti dalle bancarelle alle feste domenicali). Si tratta di un’espressione dialettale per affermare che una persona non brilla di luce propria: è stupida, insomma. La Calia è sicuramente la donna più divertente che un Siciliano Espatriato possa incontrare. Spesso è un gran pezzo di fimmina, o comunque di bell’aspetto. Ma la sua stupidità è direttamente proporzionale alla misura delle sue tette. Se poi ha soprattutto un bel culo, sarà un caso umano di idiozia. Sempre allegra, spensierata e priva di qualsiasi problema. Le va bene tutto, perché il più delle volte non capisce un’emerita minchia. Ma non fa nulla, perché la Calia ride sempre. Puoi prenderla in giro, scherzarci, lei non si offende. Mai. Che capisca o meno, poco importa. È ignara del brutto della vita: vede tutto bello, luminoso e semplice. Se da un lato frequentarla è facile e senza impegno, può portare con sé anche qualche effetto collaterale. Per esempio la voce: convinta che sia simpatico parlare come quando aveva quattro anni, potrebbe farti venire un esaurimento nervoso e trasformare una relazione di coppia in una ricreazione da asilo. Tra gli altri effetti, va menzionata la totale assenza di cognizione della realtà che può causare qualche problemino, come non capire mai che quel “suo amico” (che è solo un amico) ci prova spudoratamente. Ma se vuoi essere sereno e divertirti, senza avere pesi o rompipalle che mettono sempre il muso, la Calia, caro Siciliano Espatriato, è la tua fimmina perfetta.

Ecco che arriva il suo turno: la PULLAZZA (“pulla” = termine siculo per definire la meretrice, ergo “pullazza” = grande pulla). Anche lei sicuramente può fare divertire un uomo. Il problema è che con lei si tratta di farne divertirne spesso più di uno. Che sia per insicurezza, per non legarsi a nessuno o per scelta di vita, poco importa: la Pullazza caccia uomini. Da quando ha scoperto l’attività fisica, ha capito che le piace e che non vuole farne a meno. Se ne fotte del giudizio delle brave ragazze, lei pulla è, e pulla vuole rimanere. Se gli uomini pensano di trattarla male, non hanno capito nulla: è lei ad usarli come oggetti. Spesso è una ragazza normalissima, che di giorno studia o lavora, ma di notte si trasforma in una mangia-masculi. Non le importa se Belli e Dannati, Pinna o Spinnolati, lei li prova tutti. Basta un periodo di “multimasking” troppo prolungato o intenso, che supera la soglia e diventa una Pullazza. Da lì, tornare monogama e fedele è ardua impresa. Un po’ tutti gli uomini hanno avuto a che fare con la Pulla nella vita, il più delle volte però si cade nella sua rete e ci si innamora. Lì per l’uomo è finita. Rimarrà per sempre in mutande, in tutti i sensi. E nell’errore di credere che lui sia quello giusto per lei, e che lei sia cambiata, si ritroverà non solo in mutande, ma pure cornuto.

Ma se la Pulla è coerente col suo credo e cristallina, peggiore categoria è la SANTUZZA. Pericolosissimo genere di donna, si atteggia come la ragazza seria, brava e giudiziosa… Una di quelle che “non la da”. Prima devi prometterle amore eterno, comprarle un anello e fare amicizia con i suoi. Stai attento Siciliano Espatriato, perché la Santuzza quando meno te lo aspetti scatena tutta la sua energia repressa. Altro che Pulla! Appena capisce che le sue bigotte convinzioni le hanno impedito di scoprire il mondo, ti molla come uno straccio vecchio. E tutto il tuo sforzo, impegno e pazienza saranno stati inutili. A questo punto meglio una Pullazza DOC (almeno fai attività fisica).

A proposito di donne pericolose, non si può non parlare di lei: la ‘ATTA MORTA. Nota anche con il nome di “profumiera”, lei appare perfetta al sesso maschile. Bellissima, elegante, raffinata, intelligente, sorridente. Non sbaglia mai, è sempre impeccabile. Ma oltre che impeccabile, è pure infattibile. Anche se ci hai creduto veramente, pensando che era solo questione di corteggiamento, lei non te la darà mai. Mettiti il cuore in pace. Primeggia tra gli uomini, ha buoni rapporti con tutti e tutti la adorano. Ma stai ben attento a non cadere nella sua trappola: è in grado di fare illudere qualsiasi tipo di uomo e ammaliarlo con le sue dolci arti. Tra un sorriso, un abbraccio e una chiamata potresti perdere la ragione. Potresti credere di avere con lei un rapporto speciale, di aver trovato la donna della tua vita così inizierai a corteggiarla per diventare il suo tappetino per la doccia (€2,50 da IKEA). Ti sfrutterà per passaggi, cene o cocktail. Lei rimarrà sempre gentile e simpatica, dandoti risposte vaghe ed enigmatiche. Ma c’è poco da fare, per dartela, non te la da. Prima ne prendi consapevolezza, prima torni padrone di te stesso. La ‘Atta Morta non perdona: lei non ama altri all’infuori di sé. Non lo fa per male, è nata così.

Tra le donne della sua vita, senza dubbio il Siciliano Espatriato amerà, rispetterà e proteggerà sempre lei: la SORELLA. Intoccabile. Nessuno deve pensare nemmeno lontanamente di potere avere un contatto, anche solo parlare con lei. Se la missione da fratello-guardia-del-corpo è più semplice in giovane età, arriva un momento in cui sembra crollarti il mondo addosso. Tua sorella mette su le tette: è una donna. Sei disperato. Gli uomini iniziano a guardarla. I primi sono i tuoi amici, che da bravi amici non perdono occasione per fare apprezzamenti su tua sorella. Li vorresti ammazzare, e qualche cazzotto in faccia ti parte pure. Fai nervi e cerchi di tenerla lontana da loro, ma in realtà lei dei tuoi amici ne ha già provato circa il 70%. Mi dispiace dovertelo dire, ma di solito è così. Sei terrorizzato al pensiero che tua sorella possa trasformarsi in Pullazza, meglio persino Calia, meglio scema. Certo sarebbe perfetto avere una bella Pinna per sorella, ma chiederesti troppo!

E se l’uomo perfetto è il Pinnolone Spinnolato, la donna perfetta non può che essere lei e soltanto lei: la SPINNOLATRICE. Concentra in sé i lati positivi delle diverse categorie. È intelligente e sveglia, ma non un super genio. È bella e ha stile, anche se non è necessariamente bona. Non è né repressa, né Pullazza, ma sa divertirsi quando c’è da divertirsi. Anche lei è la Sorella di qualche uomo, che vorrebbe proteggerla come un tesoro. Ma sopratutto ha capito che solo una cosa potrà regalarle la felicità sul piano sentimentale: un uomo con la giusta dose di pinnolaggine. Se vuoi conquistare la Spinnolatrice devi averne un po’ di questa pinnolaggine, e se ne hai troppa allora spìnnolati con impegno. Se ti senti privo di Pinna-Power, sforzati per trovarne almeno un pizzico, altrimenti ti restano sempre le altre donne.

Ma quella composta da Pinna Spinnolato + Spinnolatrice è una coppia vincente, un’implosione di energia: un amore allegro che ti illumina da dentro. Come il tuo sole, la tua Isola.

Un ultimo monito Siciliano Espatriato: anche se credi di aver trovato la donna perfetta, se non sa cucinare fuggi! Salvo che tu sia un asso ai fornelli. Altrimenti sarai destinato a una vita senza pasta al forno, parmigiana e arancine. Un invito al suicidio. Ricorda che l’uomo sogna di volare, il Siciliano Espatriato di mangiare (cit. Cap.6).

Buona caccia Siciliano Espatriato, ti auguro di trovare la fimmina adatta a te.

Capitolo 19 “La giusta dose di Pinnolaggine”

pinnolone

Il Siciliano Espatriato donna può incontrare tanti tipi di uomini nella sua vita. Li studia, li conosce. Alcuni le piacciono, altri meno. Alcuni li ha amati, altri li ha odiati, altri ancora entrambi.  Ma un giorno Lei arriverà ad una consapevolezza. Bisogna trovare un uomo che abbia la giusta dose di Pinnolaggine.

Ma cos’è la PINNOLAGGINE?

Dopo qualche tempo di vita milanese, sarà capitato sicuramente a tutte le Siciliane Espatriate di incontrare un ragazzo e dire “CHE PINNA!” o “CHE PINNOLONE!”, e ci sarà stato qualcuno accanto che avrà domandato sbigottito: “PINNA? Cos’è un PINNA/PINNOLONE”?

Panico.

Cerchi disperatamente di pensare ad una parola italiana di simile significato, ma non ci riesci. Un Pinnolone è un Pinnolone. Ma ecco che sforzandoti a descriverne  le fattezze, scopri che, in tutta Italia, il Pinnolone viene definito come “Lo Sfigato”. D’ora in poi, avrai la risposta pronta.

Il livello di “pinnolaggine” varia da individuo a individuo. C’e chi ne ha troppa, chi troppo poca, chi non ne ha.

Il primo tipo di uomo che potresti incontrare è il PINNOLONE PURO, l’incorreggibile. Probabilmente non è mai stato con una donna, e nemmeno gli interessa. Parla solo con linguaggio forbito, a tratti arcaico. Il più delle volte ha un paio di occhiali, e le lenti non può usarle perché gli bruciano gli occhi. Ha un rapporto morboso con la mamma, che chiama venti volte al giorno. È molto, troppo gentile e disponibile, al limite con lo stalking. Di solito eccelle in quello che fa, perché è un genio. La sua mente è superiore, c’è poco da fare. Il più delle volte nemmeno capisci cosa dice, ti senti un’assoluta deficiente. Potrai averlo come collega, compagno, persino amico. Ma ragazzo no. Un Pinnolone Puro non è “spinnolabile”. Il suo tasso di “pinnolaggine” è pari al 100% di massa corporea. Ha serie difficoltà nei rapporti interpersonali, salvo con chi condivide il suo QI.

Viva il Pinnolone Puro, il mondo sarebbe perso senza di lui! Ma averci una relazione romantica è abbastanza impossibile.

L’opposto del Pinnolone Puro è il famoso ed inflazionato BELLO E DANNATO. È un figo pazzesco, c’è poco da fare. È talmente bello che ha il diritto di essere scemo. Anzi, riesce persino a rendere pure te una cerebrolesa. Il tuo uso dei congiuntivi diventa inversamente proporzionale ai baci che ti da il tuo Bello e Dannato. Ma chissenefrega della grammatica! Lui ti fa divertire, impazzire, emozionare. All’inizio nemmeno ti poni domande. Poi… Poi ogni tanto inizi a sorprenderti in negativo, a vergognarti di lui. Certo, per essere bello è bello, anche troppo. Pian piano però inizi a realizzare che c’è anche il resto. È DANNATO. Maledettamente stronzo, egoista, inaffidabile, narcisista. Queste caratteristiche potresti trovarle anche in altri tipi di uomini; il problema del Bello e Dannato è che lui trasforma anche te. Ti sottopone ad un lento processo di degrado psichico. Ti fa letteralmente impazzire e rincretinire. Perché di regola lui tende al fallimento e ti trascina nella sua inettitudine. Inizi a realizzare che per tornare te stessa una sola cosa puoi e devi fare: mollarlo. Ma purtroppo è bello e, da amante dell’estetica, pensi di potere aspettare. Magari cambia. Magari resta Bello ma non più Dannato. Idea pericolosissima, perché prima o poi metterà su la pancia e perderà i capelli. Quindi diventerà pure brutto. Ma sarà rimasto un Dannato, quindi un fallito.

Ora, il Bello e Dannato è perfetto per divertirsi, fare esperienza e svagarsi. Stateci quanto volete, ma non credete mai e poi mai che sia il vostro vero amore. Anzi, non fate proprio alcun programma futuro. Al massimo pensate a sbronzarvi insieme il prossimo weekend. Una volta che vi renderà dannata sarà la fine. La fine.

Lui non è mai stato un Pinnolone, nè Pinnolone può diventare. Pinnoloni si nasce, non si diventa.

Ecco dunque che tra i due opposti subentra una terza categoria, la via di mezzo, quella perfetta, quella che potrà farti credere ancora nell’amore: il PINNOLONE SPINNOLATO.

Un essere adorabile. Lui è fondamentalmente un ex-pinnolone, che però si è “spinnolato”. Insomma, è diventato scaltro. Ha comunque mantenuto tutti i tratti positivi del Pinnolone, ma ha abbassato la percentuale di “pinnolaggine”, fino ad averne una giusta dose.

Ci possono essere due sotto-categorie di PINNOLONE SPINNOLATO:

  1. Il Pinnolone che si è “auto-spinnolato”
  2. Il Pinnolone “da spinnolare”

La prima è la sotto-categoria migliore, perché non richiede alcuna fatica. Il Pinnolone Auto-spinnolato è un uomo già perfetto. Intelligente, in gamba, con un progetto di vita, capace e che ci sa fare. Magari mantiene qualche residuo di “pinnolaggine” ed ogni tanto ti lascia interdetta, ma nulla di insuperabile. Non è un gran figo, ma nel complesso è carino. Questo tipo di uomo è una rarità, quasi impossibile da trovare o da riconoscere. Beate coloro che l’hanno già trovato: in tal caso tenetevelo stretto, è l’uomo da sposare!

Prestate molta attenzione però: una deformazione del Pinnolone Auto-spinnolato è il temibile PINNOLONE DANNATO. Ha sofferto così tanto del suo alto di tasso di “pinnolaggine” da adolescente, da diventare un uomo vendicativo. Insicuro e cattivo, si aggira tra le ragazze con le sembianze di “bravo ragazzo”. E tu, povera ingenua, pensi di averne davanti uno. Errore fatale. Quando meno te l’aspetti, il Pinnolone Dannato esce fuori tutta la sua sete di vendetta. Odia le donne, perché vedrà in tutte quella ragazzina stronzetta che lo prendeva in giro tra i banchi di scuola. Conoscerlo da grande, da trasformato, ignare del suo passato, è un grave pericolo. Stanne alla larga, se lo incontri fuggi!

Tanto vale prenderti un Bello e Dannato. Almeno è bello. Almeno non finge di essere più di quello che è.

La sotto-categoria che rappresenta la più grande sfida per una donna è il Pinnolone Da Spinnolare. Ardua impresa, quasi impossibile, ma se ci riesci cambierai la tua vita.

Il “Processo di Spinnolamento” è un processo lento e faticoso, che richiede impegno, dedizione e coraggio. Solo le migliori possono dire di avere avuto successo nel ricoprire il ruolo di Spinnolatrice. Numerose le tappe da affrontare.

PRIMA TAPPA: L’alcol.

Il Pinnolone di regola è astemio. Lui non beve, perché non gli piace. Ecco che al primo appuntamento, mentre tu ti scoli da sola una boccia di vino, lui ordina una Coca-Cola. Così ti senti pure in colpa e appena inizi a perdere un po’ di autocontrollo, inizi anche a ridere rumorosamente e provi a sfiorargli la mano. Lui è rigido, imbarazzato. E tu ti annoi e pensi, tra te e te, che la Coca-Cola gliela vorresti tirare in testa.

Ma non demordere. Magari si sveglia. Abbi pazienza. Tutti gli animi sono corrompibili. Inizia con suggerirgli un Bacardi Brezee, quello che bevevi a dodici anni. La roba fruttata che non sa di alcol funziona sempre. Il tuo Pinnolone inizierà ad apprezzare qualche sorso; non ti aspettare che si metta a bere rum e cola, ma magari un po’ di vino a cena sì.

SECONDA TAPPA: La danza.

Il Pinnolone di regola non balla. Non gli piace, o meglio non è capace. Ora, non a tutte le ragazze piace ballare. Ma un po’ tutte abbiamo avuto il periodo da “serata”, magari non si va più assiduamente, ma ogni tanto è divertente. Capita. Così decidi di portare il tuo uomo a ballare. All’inizio sta immobile. Nemmeno respira. Poi inizi ad incitarlo, ridere. Ed è fatta. Inizia a ballare.

Ed ecco che tu vuoi morire. Come cavolo ti è venuto in mente di portarlo a ballare??? Ha assunto delle movenze orripilanti, unite ad un’espressione di estrema “pinnolaggine”. Sei disperata. Non hai mai visto una scena più agghiacciante. Decidi di scolarti altri tre vodkalemon per offuscare la vista di quei movimenti viscidi. E funziona. Inizi a divertirti da morire. E ci balli fino a perdere la cognizione spazio-temporale. È andata, il tuo Pinnolone sa essere divertente.

TERZA TAPPA (La più difficile!): Il Contatto Fisico.

Il Pinnolone di regola ti sta lontano, non ti sfiora manco con un dito. Lui non ama il contatto fisico, lo disturba. Il ragazzo comune ha un “pensiero fisso” quando conosce una ragazza, e di certo è molto fisico: abbraccia e bacia di continuo. Magari non sarà il suo primo pensiero portarti a letto, ma anche sì. Il tuo Pinnolone invece sta a distanza di sicurezza e se per sbaglio gli tocchi la mano sussulta. All’inizio ti piace che voglia parlare e sia interessato ad ascoltare. Solo. E pensi che sarà questione di tempo, che tra poco si scioglierà. Ma più ci esci, più ti sembra di uscire con un “amico di merenda”. Allora inizi ad innervosirti. Pensi subito: non gli piaccio. Capita, mica si upò piacere a tutti. Non fa nulla. Ma lui continua a volere uscire, però non fa mai la mossa. Ecco che ti dai altre due spiegazioni: o è vergine, o è gay. Ma stai bene attenta a non chiederglielo mai, potresti distruggere quanto costruito. Se all’essere vergini esiste rimedio (e magari puoi vederlo con un po’ di tenerezza), qualora fosse gay non hai che fare. Ma almeno l’avrai aiutato a prendere dimestichezza con il suo “io sessuale”. Guarda il lato positivo: avrai fatto una buona azione e sarà comunque una vittoria!

Per l’approccio fisico, con il Pinnolone da spinnolare c’è poco da fare: devi fare tu la prima mossa. Getta via l’insicurezza e il costume sociale del “deve essere l’uomo”, e buttati. Se avrai avuto successo nella Prima Tappa, la terza sarà molto più semplice. Quasi automatica.

QUARTA TAPPA: L’outfit.

Il Pinnolone di regola è vestito malissimo. Si veste come tuo nonno senza le bretelle. Alcuni mettono pure quelle. Magari è persino carino, ma proprio non ha stile. Dopo aver superato le prime tre tappe, risolvere questo problema sarà un gioco da ragazze. Inizia regalandogli una maglietta (che piace a te). Fagli qualche complimento. E vedrai che un giorno sarà lui a chiederti di accompagnarlo a fare shopping. Ecco, afferra la sua carta di credito e subdolamente restauragli il guardaroba. Anche cose low-cost, basta che non siano dell’anteguerra. E bruciagli tutti quegli orripilanti calzini bianchi, che si ostinano ancora a vendere nei negozi, e di cui lui ovviamente avrà i cassetti pieni.

Missione compiuta: complimenti, sei diventata una vera Spinnolatrice! Hai spinnolato con successo il tuo Pinnolone. Ora è figo, ti fa divertire e ci sa fare. Ma per fortuna conserva ancora quel suo cuore da Pinnolone che ti renderà una donna felice. Perché sarà rimasto brillante, intelligente, positivo, in gamba. Eccezionale. Ti saprà sorprendere.

A tutte le donne accoppiate, siciliane espatriate e non: chiedetevi dove inquadrereste il vostro ragazzo. Magari siete tra le fortunate che hanno un Pinnolone già Spinnolato. Oppure tocca a voi diventare Spinnolatrici e iniziare le tappe dello “spinnolamento”. Se fosse Bello e Dannato, non c’è bisogno di lasciarlo subito. Divertitevi, ma state ben attente a non farvi dannare ed inguaiarvi con un uomo inevitabilmente tendente al fallimento.

A tutte le ragazze single, siciliane espatriate e non: non abbiate fretta di accoppiarvi, spassatevela. Non c’è bisogno di trovarvi subito un ragazzo. Un po’ di “multimasking” nel CV potrà solo aumentare le vostre esperienze e rendervi più forti. Certo, state attente a rimanere sempre sotto la soglia “pericolo pulla” (pulla = termine siculo per definire la meretrice).

Un giorno o l’altro, il vostro Pinnolone SPINNOLATO arriverà. E se non arriva da solo resta sempre la possibilità di prendere un Pinnolone e spinnolarlo. Così, avrete accanto un uomo dalla giusta dose di pinnolaggine. Senza accorgervene, vi sarete per la prima volta innamorate.

Capitolo 18 “Il Siciliano Espatriato si innamora 6 volte”

???????? Il Siciliano Espatriato si innamora 6 volte.

Sbarcato a Milano incontri l’AMORE NUOVO. Euforia. Tutto è sconosciuto, eccitante, travolgente. Come un bacio da brivido con uno sconosciuto, mentre balli a ritmo di vodka e colore. Vuoi solo sorridere ed esplorare la città nuova. Le sue strade, i suoi posti, la sua gente. E realizzerai che tra quella gente, ormai ci sei pure tu. I tuoi occhi scorgono solo il bello e il difetto non esiste. Respiri aria che profuma di nuovo, mentre ascolti una hit list di inediti.
Il tempo passa. E così, quell’irrefrenabile passione sfuma. E ti ritrovi sotto la pioggia, fradicio, in una città buia. Il sole è sparito, o forse non c’è mai stato. L’aria profuma di smog e attorno suonano sempre la stessa musica.

Potresti essere emigrato lasciando indietro una persona speciale. E ti ritroverai a vivere quello snervante AMORE A DISTANZA. Vivi la nuova città, ma un pensiero é sempre rivolto all’Isola. É l’amore di chi, tra mare e montagna, preferisce starsene in collina. Un tempo di compromessi, di canzoni lasciate a metà. E crederai che le arancine sono buone anche al forno, che il gelato e’ buono pure senza brioscia, che la melanzana e’ buona anche grigliata. L’ illusione che ti basta “un poco di”.
Ma dopo mesi di telefonate, Skype, visite nei weekend e di briciole di amore, realizzi. Realizzi che non ti basta. Non puoi vivere in due città, non puoi partire lasciando le scarpe a casa. Ti abituerai a camminare a piedi nudi, e le scarpe ti staranno, poi, troppo strette.

Capiterà che da Milano partirai per l’estero, per il tuo bell’Erasmus da studente emigrato. E da emigrato, emigri ancora più lontano. Lì ti rincontrerai con la novità, questa volta accompagnata dalla diversità.
Ecco il tuo AMORE FORESTIERO. La consapevolezza che ha già una fine ti stravolge dalla testa ai piedi. Tutto è prezioso, unico, irripetibile. Ti fai travolgere da una passione strana, surreale, esotica. Il magone del rientro non fa che far crescere la voglia di vivere tutto al massimo. Amplifichi i tuoi sensi, non provi mai stanchezza, l’energia dell’ “o ora, o mai più'” ti renderà un supereroe. E’ un amore che merita di essere afferrato, ma da’ una botta in testa. Per fortuna la malinconia col tempo si trasforma solo in un bel ricordo di felicità.

Passa il tempo. E di Milano ti innamori in modo diverso. Ormai la consoci, hai condiviso tanto con lei. Inizia a essere casa. AMORE RAZIONALE. E’ un misto di passione, attrazione e stima. All’inizio non ti stravolge, non avrai nessun mal di pancia, nessun brivido di follia. Ma poi ti accorgerai che ti sei profondamente innamorato di quel posto.  Ti abitui a amare e a essere amato. Ma amore che pensa e’ amore che annoia. Realizzerai che non è lei la tua città. L’hai amata per un periodo della tua vita, ma quando ti sentirai uno straniero nella tua città, sarà tempo. Tempo di partire.

L’ Isola ti resterà per sempre nel cuore. E da Milano, non ci sarà un giorno in cui non le rivolgerai almeno un pensiero. D’altronde come scordarsi del PRIMO AMORE. Quello che si prova, non lo proverai mai più nella tua vita. Semplicemente perché è la prima volta che lo assapori. É un amore folle, che ti cambia. Non hai il controllo di te, e dopo averlo provato non sarai mai più lo stesso. É lui fattore determinante della persona che sarai. L’Isola resterà dentro di te per sempre, e un pizzico di te non smetterà mai di amarla, perché non smetterai mai di amare il te stesso di allora. Giovane e pieno di meraviglia. Rivolgerai un pensiero ed un sorriso a quel posto d’incanto, lí dove ti sei innamorato per la prima volta.

Finalmente un giorno, incontrai la tua città. Quella dove vorrai fermarti per la vita. E sarà VERO AMORE. C’é chi lo trova a Milano, chi, invece, comprende di averlo lasciato nell’Isola e dopo anni ritorna pieno di consapevolezza. Chi lo trova in posto sconosciuti. L’importante é incontrarlo. É spontaneo. Elettrizzante, ma rassicurante. Leggero, ma profondo. É il posto a cui appartieni, dove puoi semplicemente essere sempre e solo te stesso. Niente compromessi, niente cambiamenti. E potrai passare una vita lí, dove l’aria profuma sempre di nuovo, esistono solo arancine fritte, tutto è prezioso e irripetibile, si pensa ma non ci si annoia, e si ritrova un po’ di se stesso di allora. E tu, Siciliano Espatriato, finalmente avrai trovato casa.

Capitolo 17 “Anche Afrodite aveva la panza”

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La bellezza va cercata, ed una volta trovata va protetta. Il Milanese è in grado di attrarla a sé e farla fruttare. Il Siciliano è talmente tanto abituato ad averla sempre avuta intorno, che quasi se ne dimentica.

Il Siciliano Espatriato che approda a Milano si accorge che mai ci fu cliché più vero di quello per cui “la bellezza è soggettiva”. Credendo di essere un ragazzo/a se non proprio bello, di sicuro piacente e carino, guardandosi un po’ intorno nella ridente Milano ha una nuova consapevolezza: la pancia che i Siciliani hanno morbida come la crema di ricotta, i Milanesi l’hanno dura come una tavoletta di cioccolato. E le cosce che le ragazze siciliane hanno a dimensione prosciutto, le Milanesi le hanno fini come i grissini.

Guardandoti intorno ti accorgi come la gente va in giro bella come il Sole (che non c’è), vestiti all’ultima moda, con accessori all’ultimo grido, e uno stile diverso per ogni ogni personalità ed ogni età. A Milano non puoi fare nemmeno il commesso se non hai i quadretti sulla camicia e sull’addome. Parole d’ordine: bellezza e stile, nel trionfo del puro estetismo. Lo stile per lo stile.

A Milano c’è una mise per ogni momento della giornata e per qualsiasi location: business chic, city chic, radical chic e chi ne ha più ne metta. E tu, che pensavi che vestitino=sera, tuta=palestra e  jeans+t-shirt=giorno, ti ritrovi nel mondo dell’alta moda dove un pantalone di tuta può diventare chic ed una camicia un copricostume.

Confuso tra gli stili più vari, capisci una sola cosa: devi rifarti un po’ il look, il tuo non è adatto a questa città. E magari inizi a divertirti nello sperimentare, trarre spunto e variare. Difficili da emulare perfettamente, i Milanesi alla moda. D’altronde, i Milanesi la moda ce l’hanno nel sangue, come i latino americani hanno la musica: la festa più importante della città è la settimana della moda, dove il fashion va a nozze con stile, eleganza ed internazionalità. Invece la festa più importante a Palermo è il Festino di Santa Rosalia, dove il folklore va a nozze con pane e panelle,  “botti” e mare. “Viva Palermo, viva Santa Rosalia!”. Comprensibile una leggera diversità di outfit alle due feste. Leggera.

Ma la bellezza milanese non è solo nello stile e nell’abbigliamento. Il Milanese fin da giovane età fa una promessa a se stesso: no al colesterolo, sì alla palestra. I latini dicevano mens sana in corpore sano, e i Milanesi hanno dedotto dal proverbio che un po’ di pancetta possa comportare lo sviluppo di demenza precoce. Con duro allenamento, impegno e dedizione hanno un fisico perfetto, statuario. Pochi, pochissimi i Milanesi che non hanno un abbonamento in palestra. Mattina, pausa pranzo, sera, notte, trovano sempre il tempo per andare in palestra. Oasi di benessere aperte ad ogni ora del giorno e della notte, 7 giorni su 7. Il Siciliano Espatriato dopo pochi mesi, guardandosi intorno e sentendosi in colpa per le sue membra flaccide, decide di iscriversi pure lui in palestra.

Dopo aver scartato le palestre che costano quanto un affitto mensile di un trilocale, perchè per ogni tapis roulant hanno uno schermo personalizzato con abbonamento sky3D e occhiali incorporati, ti iscrivi finalmente in una palestra che ti puoi permettere. Indossi un paio di pantaloni di tuta bucati, una vecchia maglietta e le scarpe da ginnastica del liceo (tanto pensi che stai andando a puzzare, perché curare l’aspetto?) e sei pronto. Ma quando arrivi ti accorgi che lo stile ti perseguita anche in palestra. Gli abitanti delle palestre milanesi sono fighi pure quando si allenano e sudano per essere fighi: scarpe fluo con cuscinetti incorporati, che mentre cammini ti auto-tonifichi le chiappe, capelli pulitissimi e con la messa in piega, pantaloncino aderente e maglietta super alla moda. Eppure, non è il sentirti fuori luogo per l’abbigliamento pure in palestra a destabilizzarti: è la cinquantenne super tonica, bona e figa che ti fa 40 piegamenti, 150 addominali e 20 flessioni, mentre tu fai 5 piegamenti prima di stramazzare a terra. E la cinquantenne riesce a farli persino non sudando e mantenendo integro il suo make-up impeccabile, mentre tu sei fradicio e trasudi gas tossici dall’ascella,  steso sul pavimento.

Anche il Siciliano però si prende cura del suo corpo. Se i Milanesi hanno le palestre, noi ci alleniamo in spiaggia. In tantissimi corrono al tramonto in riva al mare, che sia Dicembre o Giugno poco importa. Chi si allena su surf, windsurf, canoe, chi a nuoto. Quando decidiamo di esserlo, siamo degli sportivi meravigliosi. Magari non abbiamo la stessa assiduità del Milanese, ma una corsetta in riva al mare o una passeggiata in bicicletta non ce la neghiamo mai.

Il Siciliano Espatriato potrà cercare di imitare il Milanese ed attrarre la bellezza, di seguire una pseudo-dieta e di allenarsi duramente in palestra, ma non potrà mai cambiare un elemento di sé fondamentale e caratterizzante: la sua amata pancetta. Lei rimarrà lì dov’è giusto che sia. Perchè se il bello per essere bello deve avere una tartaruga sulla pancia, il Siciliano, per essere Siciliano e felice deve avere un morbido rotolino sulla pancia. Non è da tutti comprendere a fondo la filosofia dell’uomo di panza. Rirovare sé stessi nell’addentare una cassatella calda appena fatta, nel mangiare una brioscia con gelato ancora bagnati e sporchi di sabbia, nel placare la fame notturna post-ubriacatura con un “pezzo”, che sia pizzetta, calzone o rollò. L’uomo di panza è un uomo felice, strapieno di vita, goloso di benessere. E il prezzo da pagare per la felicità sulla terra è avere un po’ di pancetta, che a volte odi e vorresti eliminare, ma che finisce per esserti fedele compagna per la vita bella.

Il Milanese è bello, più bello di noi. Attrae bellezza, se ne prende cura e se la tiene stretta. E il Siciliano si giustifica pensando che non importa l’estetica, meglio essere belli dentro. Ma tra i modi di dire e le saggezze popolari, la verità è un’altra: il Siciliano brilla di bellezza riflessa. Se vuole può andare alla sorgente della bellezza ogni giorno della sua vita. Si narra che Afrodite, la Dea della Bellezza, nacque dalla spuma del mare. E dalle onde dell’oceano nacque amore e bellezza, e l’infinito diede vita alla perfezione. E con la sorgente della pura bellezza a 5 minuti da casa, il Siciliano può respirare aria di purezza aprendo la finestra al mattino. Ed una sensazione di eterna primavera, di calore interiore, di serena luce ti riempie le membra. Bellezza interiore. Il Milanese è lontano dalla sorgente, e come ogni cosa lontana dalla sua fonte di energia, prima o poi gli si scaricano le batterie.

Piuttosto che sudare, stare a dieta e sperperare quattrini in shopping compulsivo, si potrebbe tornare nel posto a cui apparteniamo, alla sorgente della nostra bellezza. Per brillare di bellezza riflessa, ed essere quello che siamo: belli (panza inclusa).

Capitolo 16 “Una bella tastata”

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L’abitante delle Penisola quando parla muove simultaneamente le mani, come un maestro d’orchestra. E se nell’esprimere i suoi pensieri, l’Italiano gesticola, il Siciliano parla direttamente con i gesti. Il Milanese manda un’e-mail, o al massimo scrive in chat. L’ sms non va più di moda.

Ma il Milanese non è tecnologico solo nel linguaggio. Il Siciliano Espatriato si accorge subito che per il popolo evoluto la tecnologia ed il progresso non hanno più misteri. Marcia per la città a passo veloce, parlando e litigando da solo, con un auricolare nell’orecchio e uno smartphone in mano, con cui nel mentre scrive un’e-mail ad un secondo interlocutore. E tu lo guardi terrorizzato che possa finire sotto il tram, non accorgendosi del semaforo rosso.  Ma i Milanesi sono multi-tasking e dotati di sensi supersonici. Fiutano il tram e si fermano di colpo, mentre continuano ad urlare sul closing del contratto o sulla deadline da rispettare.  Sfruttano i mezzi offerti dalla tecnologia al meglio e calendarizzano in agenda tutti i loro impegni di lavoro e non, dal prendere i bambini a scuola all’appuntamento dall’estetista. Così un BIP li avverte dei loro  appuntamenti quotidiani .

Adorano comprare tutto online. La spesa la fanno portare a casa da professionali camion gialli che girano per la città. La lista è già salvata sul sito, basta digitare la fascia oraria di maggior gradimento per la consegna, ed è fatta. Se poi arriva una busta di parmigiano grattugiato al posto della mozzarella di bufala fresca, o il latte di capra al posto del latte di soia che ha ordinato, poco importa. Ha massimizzato il risultato e minimizzato i tempi da perfetto Milanese. Si è diffusa tra i genitori milanesi la moda di comprare anche i regali di Natale su internet; così ordini, comodamente da casa, il Cicciobello o la Sbrodolina per la bambina, tempo di consegna due giorni. E poi ancora cene, biglietti del cinema, vestiti etc. Il Milanese ama internet, è il suo mondo: smart, veloce ed efficiente. Così con un CLICK soddisfano i loro bisogni.

Il Siciliano Espatriato si disorienta. La sua vita  non è mai stata fatta di bip e di click. Ma di vuciare, abbanniare e gesticolare. L’Isola non è mai andata tanto d’accordo con la tecnologia. E la “nave del progresso” sembra essersi incagliata in qualche secca a miglia dalla costa.

Per parlare preferiamo i gesti o le smorfie. Recitiamo le parole che pronunciamo. Così un “che minchia fai!” richiede un braccio steso da imprecazione. Un “miiiiiiinchiaaa” prolungato di lamentela richiede un movimento della testa verso dietro, per poi tornare dritta arrivati alla “a” finale. Un “minchia pititto” richiede due colpi sulla pancia. Ma il gesto più comune è la smorfia labiale di curva verso il basso, per poi affermare “e che minchia ne so io???“.

Se dai a un Siciliano uno smartphone in mano sarà sicuramente in disappunto per non avere sufficienti emoticon per ogni sua frase. Per non parlare della tastiera intelligente, talmente smart da utilizzare vocaboli a te ignoti e scrivere discorsi a cui non avevi neanche pensato. Però la sua intelligenza ha dei limiti, il T9 avrà incorporato una Treccani e uno Zanichelli, ma non sa il significato di m’abbutta.

Sintomatico del fatto che, se non vede i gesti, il Siciliano Espatriato non comprende il significato di ciò che viene detto, è quello che accade sul volo Milano-Palermo. All’atterraggio, i viaggiatori sembrano essere afflitti da una improvviso attacco di sordità. Riecheggia il “Signore e Signori, benvenuti all’aeroporto Falcone Borsellino. Vi preghiamo di rimanere seduti con le cinture allacciate fino a quando l’apposito segnale non verrà spento e di mantenere i cellulari spenti fino ad apertura delle porte”. Neanche il tempo di finire la frase e tutti si alzano, si tirano in testa i bagagli e partono le suonerie più varie, da Beethoven a Pitbull. È l’ansia di comunicare che siamo atterrati, sopravvissuti al volo, anche se “siamo ancora sopra all’aereo”. Persino le nonnine emigrate sono munite di cellulare che usano solo per l’atterraggio. In realtà non è  che non sentiamo quello che ci viene detto, ma non comprendiamo il significato di queste parole senz’anima, senza il gesto.

Il Siciliano la spesa preferisce farla al mercato, dove può contrattare ed ammirare quel meraviglioso e colorato cibo. E se proprio non ha tempo va in un supermercato  che rispetto ad un Esselunga ha più le fattezze della bottega dello zio Nino. Così lì puoi afferrare, assaggiare, tastare, odorare per poi comprare. Senza click.

L’Isola, in quanto Isola, resta un po’ lontana e custodita. Il progresso e la tecnologia arrivano dopo. Se la spesa online in America la facevano 10 anni fa, a Milano 5 anni fa, a Palermo prima o poi arriverà. Spesso la tecnologia arriva presto, ma al Siciliano c’abbutta leggere il libretto di istruzioni, ci gioca un po’ e poi torna alle sue abitudini.

Il Siciliano Espatriato giunto a Milano, un’anticchia deve prendere confidenza con le usanze locali. Si comprerà uno smartphone e toglierà il T9. Comprerà qualcosa su internet, di cui poi si dimenticherà del tutto. Fare il check-in online, ma  arriverà comunque tre ore prima in aeroporto. Proverà la mistica esperienza della spesa online, e berrà il latte di capra. Pagherà le bollette online, e perderà la ricevuta. Si siederà in metro con un ebook sul Kobo, e imprecherà quando in un punto cruciale della storia la batteria si esaurirà. Potrà un po’ adattarsi, ma di certo il suo gesticolare e le sue smorfie continuerà a farle. Ogni tanto limiterà l’abbanniare, e mentre compie il gesto penserà senza dire. Inserirà qualche BIP e qualche CLICK nella sua vita. Ma ad uno schermo touch preferirà sempre una bella tastata. A noi piace stringere una mano, piuttosto che dare il numero di telefono. Fare una telefonata, piuttosto che mandare un’e-mail. Andare al mercato, piuttosto che fare la spesa online. Fare un sorriso dal vivo, piuttosto che inserire due punti e una parentesi.

Capitolo 15 “Tutte le strade portano al cannolo”

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Persino Dio dopo una stancante settimana di lavoro, decise di dedicare un giorno al riposo. Niente sveglia alle sette del mattino, caffè, doccia e lavoro. Un giorno che non fosse passato a faticare e rientrare a tarda sera, stanchi e affamati con l’unico desiderio di abbracciare il letto. Una sosta dall’ ora et labora. Così, l’uomo ha scelto un giorno per fermarsi ed  ammirare il mondo. La Domenica.

Il Siciliano Espatriato, da quando ha deciso di emigrare nel grottesco Nord, ha la fortuna di sperimentare due domeniche nella sua vita. La Domenica milanese e la Domenica sicula.

A Milano il tutto inizia con un risveglio. Tardi. La settimana milanese ben lontana dall’essere tranquilla e umana, è assolutamente massacrante. Ben nota è l’abitudine del popolo evoluto di aggiungere ore al giorno per potersi regalare più lavoro. Il tempo corre e tu devi correre con lui. Chi resta indietro è perduto. Ma il povero Siciliano Espatriato alla fine, abituandosi alla velocità superpolentonica, riesce a tenere il passo del Milanese e persino a sorpassarlo. Ma la mancanza di respiro e di una vera pausa pranzo, seguita dalla pennica pomeridiana, alla lunga hanno un effetto logorante sul corpo del Siciliano Espatriato. La domenica, ci si sente come una tazzina sporca. Vuoti e macchiati di caffeina. La fatica della settimana milanese spiega perché gli abitanti di Milano, Siculi compresi, la domenica si dèstino alquanto tardi.

Tanto tardi da affidarsi ad una colazione che non è colazione. Ad un pranzo che non è pranzo. I Milanesi hanno preso l’abitudine di dilettarsi con il brunch. Origine americana, ma moda assolutamente milanese, il brunch è un trend che coinvolge tutti. Mega banchetti dolci e salati, abbastanza dispendiosi, in locali sofisticati Milano style. Così, dopo aver eliminato dalle loro abitudini la cena, sostituita dall’happy hour, il popolo evoluto ha trovato un secondo modo per risparmiare tempo, trasformando il brunch in consuetudine domenicale. Tu, Siciliano Espatriato, dopo aver rigorosamente prenotato il brunch un mese prima, quando arriva la Domenica ozi abbondantemente in pigiama, domandandoti se sia in grado di affrontare il grigio giorno milanese, che rincuora in modo ineguagliabile l’animo.  Ma trovato il coraggio e soprattutto affamato, riesci a uscire per il tuo brunch. La notte prima riecheggia nel corpo e nella mente, regalandoti emicranie miste a nausee, e uscire da casa ti agevola la rinascita. Uova e caffè, ed è fatta.

Caffè, e poi shopping. La città non chiude mai, neanche di Domenica. I negozi li troverai sempre aperti. Nessuna pietà per chi vuole riposare. La moda non va mai in vacanza. Chi svaligia Via Torino, chi Corso Buenos Aires, chi Via Paolo Sarpi. Nessuna tregua per i portafogli.

I più volenterosi ogni tanto sostituiscono lo shopping con una mostra, qualora le finanze lo consentano. Il Siciliano Espatriato che a casa l’arte l’ammira sulla spiaggia, a Milano paga un oneroso biglietto per farlo. Il gene maschile, invece, il dopo-caffè domenicale lo dedica ad una sola attività: guardare le partite. Che si trovi a Milano o a Palermo poco importa, basta che ci sia una TV. Così il loro intero pomeriggio si cristallizza in 90 minuti. Tra shopping, mostre e calcio, arriva a breve l’orario dell’aperitivo, e ti ritrovi con un calice di insignificante Domenica in mano. E la depressione da inizio settimana.

Il Siciliano Espatriato nei periodi in cui rientra a casa, memore della Domenica milanese, si gode a pieno la Domenica sicula. La sveglia è sempre tarda. La colazione è con caffè, ma senza uova. Appena si sveglia deve raccogliere tutte le energie per affrontare il lavoro domenicale del Siciliano tipo: il pranzo domenicale. Goliardica esperienza in cui il cibo trionfa e la pancia gonfia. Nessuna pietà per chi è a dieta. Nessuna pietà per chi pensa di “volersi mantenere leggero”. L’unica cosa che avrai di leggero sarà il piatto vuoto dopo che ti sarai strafogato di tradizione culinaria sicula. Cannolo e caffè, ed è fatta.

Caffè, e poi mare. Una bella passiata sulla spiaggia, un respiro di brezza marina, un raggio di sole da portare a casa. Di regola segue un riposino a metà-pomeriggio. La domenica il Siciliano è sempre stanco, così come il resto della settimana, il resto della sua vita. Riusciamo a stancarci persino riposandoci. Riposarsi è sempre un verbo e quindi implica una qualche attività in fondo. Siamo come i giocattoli a molla, che in una manciata di secondi perdono la carica data; probabilmente se ci montassero dei pannelli solari in testa, risparmieremmo luce e saremmo instancabili. Tra uno sbadiglio e l’altro, ci dirigiamo verso il centro. Continua la passeggiata, una birra con amici interscambiabile con un bel film al cinema. La cena è categorica, perché dopo una lunga e stancante giornata come quella appena vissuta, abbiamo bisogno di riacquistare energie.

Il Siciliano Espatriato che piange la sua Domenica sicula, ha due alternative nelle grigie domeniche milanesi. La prima tattica per reagire al torpore nebbioso è fare quello che il Siciliano Espatriato è più bravo a fare: nulla. Stanco di una Domenica senza pranzo dalla nonna e senza passiata in spiaggia, il Siciliano Espatriato sciopera. E vive una giornata da sonnambulo. Farà finta di alzarsi all’una. Berrà un caffè giusto per aprire gli occhi appena. E inizierà a vagare per casa spostandosi da un letto all’altro e da un divano all’altro. Televisione, computer, serie televisive. La giornata dei sonnambuli coinvolge l’intera abitazione milanese, e si fa a gara tra gli inquilini a chi ozia più dell’altro. L’unica regola impossibile da infrangere è una: lavarsi. Bisogna rimanere in pigiama. Dalla mattina alla sera. E tra una pizza a domicilio e un film con i conquilini, si ritorna al tramonto su quel letto da cui in realtà non ci si è mai alzati.

Strategia alternativa è cercare di contaminare la Domenica milanese di usanze sicule. Si organizza il pranzone domenicale a casa di qualche amico della colonia e unendo le forze culinarie si preparano pasta al forno, involtini, salsiccia e patate. Si replica così quella sensazione di soddisfacente pienezza di pancia. Un passito per digerire. Un caffè accompagnato da un cannolo – perché il Siciliano Espatriato sa sempre dove trovare cannoli per il pranzo domenicale, ovunque si trovi nel mondo; ci sarà sempre una piccola pasticceria di una famiglia di espatriati. Tutte le strade portano al cannolo.

Il pomeriggio passa in fretta in “famiglia”. Sul tardi si opta per fare una passeggiata, o per un cinema e pizza in semplicità. Si è comunque stanchi. Perché il Siciliano Espatriato la Domenica è stanco, vuole sentirsi stanco e si vuole lamentare che è stanco. E a Milano, data la settimana da automa, è pure giustificato nel lamentarsi che lo sia. Se il brunch lo puoi sostituire con una pasta al forno, lo shopping tra il cemento non puoi sostituirlo con una passeggiata in riva al  mare. Quello te lo devi dimenticare. Dovrai adattarti a domeniche opache, senza brezza e senza profumo. Una domenica in cui potrai decidere se restare un indifferente sonnambulo o reagire a colpi di sicilianità espatriata. Il riposo sarà assicurato comunque, perché all’“iper-attivismo” milanese, tu risponderai con uno sbadiglio. E senza prescia ti riposi dallo stancante riposo. E vivi la tua Domenica a rallentatore. E percorri la tua strada a piedi. Rallenti la tua vita, così da renderla più lunga, più sana e più bella.

Capitolo 14 “Biosiculo, logico no?”

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Prassi diffusa nella bella Milano è dedicarsi alla cura del corpo, dimenticandosi della mente. E’ fondamentale essere belli e palestrati. Bisogna essere più tonici di un’acqua tonica e dedicarsi con tempra e costanza all’attività fisica. Ma prima di tutto correggere le abitudini alimentari. Se riesci a non mangiare  è meglio, ma se proprio non riesci e devi ingurgitare cibarie, allora devi mangiare ciò che è definito “sano”. Biologico.

Ecco che negli ultimi anni sono stati aperti numerosi luoghi dove puoi assaggiare prelibatezze come il tofu, il kamut e la soia, che sembrano sortilegi magici piuttosto che nomi di pietanze scritte su un menù. Non importa. Se mangi bio, allora sarai sano e magro. Ristoranti, bar, bistrot o supermercati che sono come oasi verdi e felici, dove tutto è a forma di foglia o goccia di rugiada, e certamente più allettanti di una banale panineria con una hamburger fumante in vetrina. Elemento comune di quelli che chiameremo “bio-bar”, è che sono a portata di milionario. Puoi pagare un insalata anche 15 o 20 euro e bere acqua purificata che purifica le tue viscere impure a soli 5 euro a bicchiere. Ma quando si tratta di salute non si bada a spese. Magro e sano e sul lastrico.

Il Siciliano Espatriato che vaga per Milano entra in contatto con il concetto di  biologico, anzi può diventare un assiduo frequentatore dei “bio-bar”. Così in una pausa tra una lezione universitaria ed un’altra, o a pausa pranzo a lavoro, si immerge anche lui nella natura biologica, artificiale e preziosa dei milanesi.

Erroneamente si potrebbe pensare che i “bio-bar” siano frequentati solo da fimmine sicule, che in una mattinata di shopping al Duomo, dopo una prova vestito andata male, decidono di fare un lunch leggero. Sbagliato. Cresce il numero di veri maschi dai fisici statuari, trasudanti da ogni angolo del loro corpo puro testosterone, che a pranzo gustano una ricca insalata. Una bella insalatona per mantenersi leggeri e ostentare tutta la propria mascolinità. Belli e sani, sani e belli. Alla ceretta al petto e alla crema idratante su tutto il corpo, il maschio moderno deve aggiungere l’insalata bio, per aggiudicarsi un 10 in bellezza.

L’esagerazione degli anni passati nella creazione di cibi artificiali e supergustosi, di quelli che creano dipendenza e strane malattie tra mucche impazzite, tette giganti da ormoni di pollo e anche altre peggiori, ha dato avvio ad una marcia indietro. Terrorizzato da diventare come l’Incredibile Hulk addentando un panino, per mangiare normale e non mutare geneticamente devi mangiare BIO. E i Milanesi, il popolo evoluto, l’hanno già capito da tempo. Così i ricchi si salveranno, mangeranno hamburger che sanno di carta e  tortini insipidi, ma saranno sani.

Il Siciliano Espatriato, prima di espatriare, era assolutamente ben lontano dalla moda bio. Certo tra le strade delle città sicule, si può  scorgere, di tanto in tanto, qualche supermercato bio, o qualche posticino che mostra un’insegna “BIO” in vetrina, ma si tratta di piccole eccezioni.  Se per bio si intende autentico, antico e vero, il cibo siculo lo è già per natura. L’Isola veterana sembra essersi fermata ad anni fa, e in alcune parti anche  a secoli fa. E tra le mille critiche e svantaggi dell’essere arretrati, si trovano però anche i pregi. Da noi la zucchina sa di zucchina, senza bisogno che abbia il bollino  “bio”. Tutte le zucchine sono zucchine, senza distinzione di razza o religione. Se a Milano per gustare un buon frutto, questo deve essere necessariamente biologico e costare un accidenti, nell’Isola te lo mangi aggratis.

Sbarcando a Milano, ciò che il Siciliano Espatriato spesso rimpiange è proprio il sapore della tavola quotidiana sicula. Ti manca il cibo vero, talmente tanto che pensi di impazzire più della mucca. E se compri frutta e verdura milanese è inevitabile non confrontarne il gusto con quello del pomodoro appena raccolto in campagna, pronto per diventare salsa fresca. E  immaginarsi quella distesa di campi sfocati dalla calura estiva nella onirica campagna sicula. Ritornato al cemento milanese ti resta in bocca solo un ricordo sbiadito di sapidità. Allora ti viene spontaneo placare la paura del cibo malato ricorrendo al bio. E diventi un habitué del biologico cittadino.

A colazione ti capiterà di ordinare una brioches integrale e un caffè al ginseng, mentre in mente pensavi ad un cornetto alla nutella ricoperto di zucchero a velo ed un cappuccio con spolverata di cacao. A pranzo gusterai la fantastica insalatona sorseggiando un maxi frullato di vegetali, frutta e vitamine. E già ti sentirai depurato. La sera sarà la volta della pizza, rigorosamente di farina di kamut o integrale. Così dopo i tuoi pasti da malato, sarai un essere sano. La naturalità diventa moda, una stranezza dispendiosa, un lusso d’eccezione.

Facendo la spesa a Palermo potrebbe capitarti di domandare al ragazzo che vende frutta e verdure sulla sua lambretta, se le sue arance sono “bio”. Lo lascerai senza parole, sgranerà gli occhi e ti risponderà che la sua “è tutta roba buona, freschissima, appena raccolte dal campo di suo zio”. Assaggiandola avrai la prova che bio o non bio, del nonno o dello zio, la sua frutta sa di quello di cui dovrebbe sapere qualsiasi frutta: di frutta per l’appunto.

Capirai ben presto che la nostra Isola è già di per sé biologica. Non ha bisogno di bollini. Arretrati e felici mangiamo roba buona, senza bisogno di sederci ad un tavolino di un locale chic per spendere i nostri soldi e mangiare il sano senza gusto. L’isola ti da’ sia il sano che il gusto. Il Siciliano è di sua natura biologico, autentico. La sua spontaneità e pigrizia lo porta a lasciare che i pomodori crescano da soli al sole, e quando saranno maturi al punto giusto lui li raccoglierà con molta calma. Non amiamo strafare, e rimaniamo fermi lasciando che gli altri intervengano al nostro posto.  E lasciamo che la natura faccia il suo corso e se la natura fa il suo corso, il risultato non potrà che essere un bio-vero. Un bio-autentico. Un bio-gratis. L’uomo non interviene e l’artificiale non sconfina nella naturalità.

Così l’Isola ti regala una vita biologica, che è scientificamente viva e logicamente sana. E addentando una fetta di “meLLLone” pensi a quanto sei fortunato. Perché se il milanese il biologico se lo deve accattare, l’Isola te lo dona ogni giorno. Biosiculo. Quello che mangi, quello vedi, quello che sei. Autentico.

Capitolo 13 “Lì, dove cadono fiocchi di sabbia”

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Le strade si accendono. Gli addobbi colorano. I supermercati sono sommersi di panettoni, pandori e spumanti. Il fiato si trasforma in una nuvola di fumo. Il freddo, la neve, le luci. Il Natale. Si torna a casa. Era ora.

La famosa aria di festa pervade università, uffici, locali. Si fanno gli auguri a chiunque, anche al cane del vicino. “I migliori auguri”,”Buon Natale e Buon Anno”, “Tante care cose”, “I miei più sinceri auguri”. Il Siciliano Espatriato a cui fanno gli auguri di buon Natale, sorride. E la sua mente vola. Da quel giorno avrà solo un pensiero. Fisso. Si torna a casa, si torna al mare.

Ma prima di arrivare a destinazione, dovrai affrontare un’avventura inimmaginabile che richiederà tempra e coraggio. Come Ercole che superò le dodici fatiche, tu dovrai affrontare la tua di fatica, quella del giovane espatriato in pellegrinaggio verso casa.

Il dramma del rientro: il mezzo per tornare sull’Isola. Nonostante la crisi mondiale, le compagnie aeree, convinte che in Sicilia ci siano le miniere d’oro, hanno deciso di vendere caro, ma molto caro, un volo di un’oretta e mezza scarsa Milano-Palermo. L’esperienza ti ha insegnato che devi acquistare il biglietto almeno tre mesi prima del Santo Natale, ma nonostante la tua precoce caccia al volo aereo, dovrai rassegnarti. Scendere in aereo a Palermo ti costerà comunque come un volo per New York. Persino le famose compagnie low cost, a Natale, sembrano avere solo posti in first class super lusso. Quattrocento euro, andata e ritorno, e un buco nero nel tuo conto in banca. Così, i più comodisti, dopo aver venduto ad un’asta clandestina un polmone/rene per racimolare il gruzzolo, riescono ad aggiudicarsi l’agognato biglietto aereo di ritorno.

Se i sardi, infatti, godono della tariffa aerea bloccata a garanzia della continuità territoriale, i siciliani no. Sembra che lo Stretto di Messina sia immaginario, che in realtà la Sicilia sia attaccata allo Stivale. Così, girando alla seconda stella a destra e poi dritti fino al mattino, si arriva sull’Isola senza bisogno di traghetto.

I più temerari (e sparagnatori) sfidano la sorte e decidono di utilizzare mezzi alternativi, come il treno. Dopo otto ore circa per attraversare l’Italia ed una nuotata nello stretto, scopriranno che da Messina a Palermo il treno misteriosamente ne impiega altre otto di ore. Era meglio farsela a piedi.

C’è chi invece ama le quattro ruote e s’imbarca in un viaggio on the road, attraversando l’Italia per lungo. Ogni tanto si prende la nave da Genova per accorciare il tragitto, altrimenti, a turno con i compagni di viaggio, si percorre in macchina l’intera strada. E tra una ruota bucata, un saluto a qualche amico di passaggio, e qualche disperso per la via, si riesce ad arrivare in tempo per la mezzanotte della Vigilia.

Qualsiasi mezzo tu abbia scelto, alla fine, tra un mutuo, tre scali o due giorni di viaggio, riesci ad arrivare a destinazione. Ecco che respiri mare, ti immergi in un’aria pulita e ti illumini d’immenso. Impossibile trovare altrove un sole così a Dicembre. Un sole che ti allucia, tanto forte che devi aspettare il tramonto per riacquistare la vista.

Appena sceso dall’aereo prendi fuoco. Le pesanti vesti milanesi ti abbracciano in una morsa fatale, mentre cerchi disperato di levarti strati e strati di lana, che non dovrai usare per un bel po’. Riacquistando il respiro, arrivi a casa. Apri la porta e ti lasci avvolgere dall’odore familiare di quelle quattro mura. E poi, ci sono loro: genitori, fratelli, sorelle, cani, gatti. Famiglia. Una vasata a tutti, un sorriso e un “ben tornato a casa”.

Tra le varie godurie del rientro, il cibo è primo tra tutte. Finalmente. Assapori un’arancia che profuma la bocca. Un pesce che non è surgelato. Un pane vero, non duro o condito d’aria. E inizia una continua abbuffata senza tregua che ammazzerà i tuoi tre mesi di dieta e palestra milanese. Da noi il cibo è una celebrazione di noi stessi, una celebrazione di pura gioia lipidica.

Tra gli altri vantaggi ci sono le comodità casalinghe. I vestiti che si auto-puliscono e si auto-stirano. La stanza che si rassetta da sola, come se ci fosse Mago Merlino che borbotta incantesimi. Il pasto pronto. Certo il più delle volte avrai bisogno di un breve periodo di adattamento per rientrare nella logica familiare, come riabituarti a dover rispondere alla domanda delle 9 del mattino “che cosa vuoi mangiare a pranzo? E a cena?” E tu, che hai dimenticato il cervello nel boccale della notte prima, ti sforzi di farfugliare nomi di pietanze.

Ma la meraviglia più grande sono gli amici. Quelli del liceo, di casa. Li ritrovi lì, ad aspettarti negli stessi posti. E sembra non essere passato nemmeno un giorno dalla tua partenza. Tornato a casa, ringiovanisci e ritorni agli anni della scuola. Se eri il bello della classe, non importano i cinque chili in più e le occhiaie metropolitane. Se eri lo studioso secchione, non importano i due anni fuori corso. Se eri l’alternativo di turno, non importa la tua vita fighetta milanese. Se eri il ciccione della classe, non importa che ora ti si vedano le costole. Se eri quello che non studiava, non importano le due lauree più un master che hai conseguito. Ognuno ritorna a giocare nel suo ruolo. Ognuno torna indietro negli anni. E se all’inizio ti serve tempo per abituarti, perché ti senti così diverso e cambiato, alla fine ci provi gusto. Accetti il gioco, e ogni tanto riscopri un po’ di quel te stesso antico. Giovane, inesperto, diverso, ma autentico.

Le vacanze proseguono serene. Immerso nello scirocco invernale siculo, ti godi le desiderate vacanze casalinghe. E il tuo Natale, lì dove cadono fiocchi di sabbia. E dove persino Babbo Natale arriva su una tavola da surf. Colmo di sicilianità, ti accingi a rientrare nella ridente Milano. E rotolando verso nord, morbido con quei 4 chiletti in più da overdose di fritto e ricotta, torni lassù. Il sole non allucia. Non riscalda. L’aria è fredda. E cadono fiocchi di neve. Ma hai le energie per diradare la nebbia e resistere fino alla primavera. Pronto per un nuovo anno da Siciliano Espatriato.

Capitolo 12 “L’Isola dove i popoli si fermarono per un caffè”

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Tra le strade di Milano si incontra chiunque. E il chiunque viene da dovunque. Una miriade di gente proveniente dai luoghi più vari. Una metropoli che respira mondo. Una città che è casa di tutti. Così, la bella Milano si è aggiudicata un posto tra quelle città che appartengono a tutti e a nessuno. Dove gli autoctoni diventano stranieri e gli stranieri diventano cittadini.  New York, Parigi, Londra, Milano. In comune quella esilarante atmosfera chiamata internazionalità.

Il Siciliano Espatriato che a Milano inala aria di mondo, si prende all’inizio un bel raffreddore. Abituato a stare tra siculi, e soltanto siculi, dovrà socializzare con i popoli più disparati.

Basta camminare per le vie milanesi per incontrare i cosiddetti “stranieri”. Come i modelli e le modelle, di norma alti, magri, belli, statuari e perfetti. Spesso persi, si aggirano cercando l’agenzia di riferimento e può capitare che ti chiedano indicazioni. E tu, che hai a malapena imparato la strada da casa tua al supermercato (giusto spinto da spirito di  sopravvivenza), ti ritroverai a fare da cicerone, in uno pseudo-inglese, per regalare un po’ di bellezza alla tua giornata. D’altronde dicono che la bellezza salverà il mondo. Dunque, probabilmente, negli anni a venire il modello di D&G in “slippino” bianco vincerà il Nobel per la Pace, ed ecco spiegato perché le “Miss” oggi siedono in Parlamento.

E’ facile inoltre incontrare a Milano stranieri nei locali, nelle discoteche e per strada. Già il Siciliano Espatriato ha difficoltà a farsi capire in inglese da sobrio, figuriamoci notte tempo tra un bicchiere ed un altro. Ma si ricrederà ben presto, scoprendo che il buon amico alcool gli dà una padronanza eccelsa del british. E socializzerà anche con loro. Non sorprende che la sera a Milano si può andare a bere in un ostello, così i turisti in visita e i giovani della notte si dilettano bevendosi una pinta di internazionalità metropolitana.

Lo scontro con la famigerata internazionalità continua all’università. Per fare un piano di studi di economia e legge devi sapere l’inglese come un madrelingua. Quelli di lingue e letterature straniere, di conseguenza, dovranno padroneggiare come minimo il cinese o il russo. Scoprirai numerosi corsi di laurea bi/tri/quadrlingue.  Altri che per metà si svolgono in loco e per la restante metà dall’altro lato del mondo. L’impressione che hai è che vogliono spedirti subito da qualche parte, purché non sia Milano. La parola d’ordine è ESTERO. E tu, povero Siciliano Espatriato, che ancora cerchi di imparare quale sia la strada per tornare a casa dopo la lezione, ti ritrovi a selezionare mete per uno “scambio interculturale” che dovrai fare 2 anni dopo. Eppure, sbarcato a Milano, pensavi di essere in Erasmus da un bel  pezzo. Ma nonostante ti senta già come un hawaiano al Polo Nord, dovrai, volente o nolente, selezionare mete ancora più lontane. Luoghi che hai visto solo nei film. Altri che non sapevi neppure esistessero. E dopo pochi mesi di vita milanese, ti ritrovi a programmare un’altra vita da un’altra parte. Inizia la lotta contro il tempo per aggiudicarsi le mete più ambite per trascorrere un semestre all’estero. Si diffonde tra gli studenti una strana malattia, nota con il nome di “disturbo d’ansia generalizzato da meta Erasmus”. Il giorno in cui pubblicano i risultati delle selezioni, c’è un’attesa spasmodica. Urla di gioia. Urla di delusione. E tu, che stai caricando la pagina dell’International Office ogni 3 nanosecondi, finalmente scopri la tua meta. Non l’avevi selezionata. Anzi, non sapevi nemmeno esistesse, dove fosse, né tantomeno come si pronunciasse, ma eccola: Lodz. La tua prima esperienza all’estero sarà in Polonia. Riesci solo a pensare a: VODKA.

Pian piano, riscopri in te stesso un’ignota tendenza ad adattarti a questa famosa internazionalità milanese. Tutte le prove che hai incontrato, sei riuscite a superarle egregiamente. E la metropoli straniera che appartiene agli stranieri, inizia ad appartenere anche a te.

Quello a cui non avevi mai pensato è che in realtà hai una propensione naturale all’internazionalità. Erroneamente ritenuto posto selvaggio, sperduto e provinciale, l’Isola è la culla dell’internazionalità. Se i Milanesi hanno le modelle, gli uomini d’affari, gli studenti e i turisti, anche la Sicilia ha i suoi stranieri. Certo pensare a stranieri a Palermo, vuol dire immediatamente pensare al turista grasso, bianco, in shorts che si aggira, tutto sudaticcio e puzzolente di crema solare, per Piazza Politeama. Se provi poi a chiedere un’indicazione in inglese su un autobus in città, ti risponderanno a gesti misti a dialetto siculo, ma in qualche modo si faranno capire. Se internazionale e Sicilia, a prima vista, sembrano stare bene insieme come il caciocavallo e la zuppa di cozze, la realtà è un’altra: siamo internazionali, multiculturali, cosmopoliti. L’Isola è sempre stato un posto dove i popoli passavano, si taliavano un po’ in giro, si bevevano un caffè. E si innamoravano. Fenici, Greci, Arabi, Normanni, Angioini, Svevi, Spagnoli. Arrivavano, dominavano e il siciliano accoglieva l’ospite.

La domanda a cui i siciliani sono stanchi di rispondere è, per esempio, “come mai se sei siciliano sei biondo con gli occhi chiari?” Tutti si aspettano lo stereotipo siculo nivuro e olivastro. E ti ritrovi a spiegare la manfrina dei simpatici Normanni nordici che giocarono anche loro a “conquista la Sicilia”.

E Lampedusa. Una briciola di terra, una porta per l’Europa. Noi Siciliani siamo sempre stati emigranti, e continuiamo ad espatriare. Ora invece c’è addirittura chi è messo così tanto male, da decidere di sbarcare in Sicilia. E noi che pensavamo di avere solo mare e sole. Da terra di emigranti siamo diventati luogo dove si emigra. Meta di nuovi espatriati. Resta solo da fare quello che ci viene meglio: ospitare.

Il Siciliano è tradizionalista, dalla mentalità chiusa, retrogrado, antico. Ma quando l’antico sa di mondo e la tradizione è quella di mille popoli, ecco che i due concetti diventano insieme internazionalità. L’isolano isolato nell’Isola ha incontrato tanti passanti ieri. E oggi ne incontra altri nuovi. I Siciliani sono un popolo nato dall’accozzaglia di culture, siamo come un succo multi-frutta che non ha un gusto definito, ma che è coloratissimo e pieno di vitamine. Siamo cresciuti nella storia intrecciata di mille popoli, e l’immagine uscita fuori da questo puzzle è il siciliano di oggi. La nostra naturale propensione alla diversità ci porta ad adattarci all’”altro”.  A non essere fuori luogo in un mondo che è ormai un solo mondo e basta.  A farci capire, anche senza sapere l’inglese, da un popolo che è ormai solo un popolo e basta.

Così ti abitui ben presto alla metropoli multi-etnica, perché anche se non sembra, tu, tra un cannolo e un’arancina, questo caffè con lo straniero l’hai bevuto da sempre.

Capitolo 11 “MAMMA LI TURCHI! – Parte 2 – Arrivano i Polentoni”

SOFIAAAA

Dicono che dall’incontro con il diverso si impari sempre qualcosa. Il Siciliano Espatriato che incontra un Milanese, impara che al Sud si pensa così tanto, ma così tanto a mangiare, che addirittura dal cibo vengono coniati nuovi vocaboli. Così, avendo gli abitanti del Nord come piatto tipico una sbobba gialla, comunemente nota come “polenta”, gli abitanti di laggiù li hanno denominati POLENTONI. D’altronde, come dice Feuerbach “Siamo quello che mangiamo”.

Il Polentone è, in generale, un soggetto nato, vissuto e crepato (dato che dal Nord lui proprio non si schioda!) al Nord. Molto legati alla loro terra, è da quando Garibaldi decise di mettersi sto stivale che i Polentoni cercano di difenderla dalla perenne minaccia dell’invasione dei popoli meridionali: i Terroni. Orde di barbari che una volta arrivati, non se ne vanno mai più. I Polentoni dovranno imparare a conviverci.

Il termine Polentone racchiude in sé svariate sub categorie, tra le quali se ne citano di seguito alcune delle più comuni:

“I Bergamaschi”. Come automi riescono a laurà 48 ore in un giorno fatto di 24: mistero dell’evoluzione umana. Se i bergamaschi vedono un terrone passeggiare allegramente per la bella Bergamo Alta, lo arrestano immediatamente per metterlo in quarantena, prima che l’intruso possa diffondere un’epidemia letale per l’intero popolo bergamasco: il cazzeggio. Nonostante la loro parlata cacofonica, sono di regola un popolo di stitici: il troppo lavoro non lascia loro nemmeno il tempo per cacare.

“I Veneti”. Felici sguazzano nella loro laguna cristallina. Tra le loro eleganti e romantiche città passeggiano fischiettando e, tra un grappino e un altro, brontolano un po’ su tutto. Se qualcosa va male, sarà sicuramente colpa di quel terrone seduto al tavolino del bar a cazzeggiare, o il più delle volte colpa di Dio, il Quale è invocato “gentilmente” abbastanza spesso dal popolo locale. I Veneti si dividono di regola in due categorie opposte: raffinati come l’Arena di Verona o sgraziati come un piccione di Piazza San Marco.

“Gli Abitanti della Padania”. Numerosi e uniti, hanno scambiato una verde pianura per il centro del mondo. Già stanchi di un secolino e mezzo di Italia, loro vogliono l’indipendenza. Se potessero, farebbero della loro amata pianura una nazione, anzi un continente. Circumpadani e Transpadani tutti uniti per un pic-nic attorno al Pò. Così per attraversare dal Sud al Nord l’Italia, dovremmo chiedere il visto, passare una dogana, pagare una tassa di soggiorno e comunicare a gesti. Ma se loro creassero la Padania, noi potremmo allora ricreare il Regno delle Due Sicilie, e risplendere come nell’antichità. Anzi, a questo punto ricreiamo l’Impero Romano, così i centurioni la mettono in culo a tutti. Risultato: Italia nuovamente unita.

“I Montanari”. I giganti delle Alpi dotati di fisici atletici e forza sovraumana. Se la godono mangiando uova, speck e patate tra una sciata in inverno e una passeggiata tra le valli in estate. Si considerano più “al di là” che “al di qua” delle Alpi, e per loro l’Italiano è facoltativo. Gradiscono maggiormente le lingue dei Paesi confinanti, ma più di tutte le lingue indigene. Alcuni tra loro, per esempio, parlano ladino. Il Siciliano Espatriato che andrà in settimana bianca avrà seri problemi di comunicazione, soprattutto con i maestri di sci. Userà le pochissime frasi che ricorda dal Liceo Classico, del tipo cave canem o in vino veritas, ma con il risultato di fare incazzare il montanaro ancora di più. Capirà ben presto che ladino e latino non sono esattamente la stessa cosa, e, non trovandolo tra le opzioni di lingue di Google Translator, risolverà il problema bevendo 2 bombardini di fila: come per magia saprà parlare il ladino come un madrelingua.

“I Milanesi”. L’evoluzione dei Polentoni. Negli anni, hanno affinato talmente tanto i loro tratti da polentoni da diventare i sovrani indiscussi del Nord. Sono dotati di velocità supersonica. Riescono ad arrivare da una parte all’altra della città in un secondo come se usassero il teletrasporto. Possiedono energie inesauribili. Potrebbero lavorare per giorni e giorni di fila, basta dar loro qualche caffè e l’odore di profitto. Resistono a qualsiasi temperatura, il freddo polare e il caldo estremo non li fermano dall’andare a produrre. Il mondo gira e non si ferma mai, e loro lo seguono a ruota libera. Anzi lo superano.

Il Siciliano Espatriato che va a studiare a Milano, con buone probabilità, vivrà l’esperienza unica di avere in casa un coinquilino straniero: un polentone di indefinita categoria. Così tu, Siciliano Espatriato, cercherai di fare amicizia prendendoti subito un’estrema confidenza. Il coinquilino rimarrà basito e accennerà un sorriso imbarazzato. Poi, chiuderà la porta della sua stanza. Proverai persino ad offrirgli i cannoli (portati ovviamente dall’ultimo parente in visita), ma il coinquilino polentone rifiuterà anche quelli. Non avrai altre armi. Ma più prima che poi, una sera, vi ritroverete insieme ubriachi. Lui di spritz, tu di birra. E, tra un delirio e l’altro, nascerà un’eterna amicizia. Ti conoscerà sempre di più e inizierà ad adorarti. E tu adorerai lui. Il weekend, però, di regola ti lascerà solo, perché lo studente polentone torna sempre a casa il Venerdì. Lo scongiurerai di restare con te, ma ti risponderà che ha cose importanti da fare: andare a castagne, farsi fare il bucato dalla mamma e soprattutto fare il rifornimento di sughi della nonna. Attenzione: anche il polentone ha l’usanza di mettere buatte in valigia!

Nonostante le differenze psico-fisiche-socio-economiche-esistenziali tra te e il tuo coinquilino polentone, potrete diventare grandi amici. Basterà insegnargli un po’ di concetti siculi. Spiegargli che il Sole non è un’utopia, ma una realtà. Che quando dici “andiamo a fare un bel bagno”, non ti deve portare al Lago: le pozzanghere melmose non le gradisci. Che quando hai voglia di una buona mangiata di pesce fresco, non intendi andare a mangiare sushi al giappo sotto casa. Che è vero che tu magari sei troppo rilassato, ma lui sembra che abbia un razzo tre le chiappe. Una volta chiarito qualche punto di disaccordo, sarete amici. Se all’inizio lo hai terrorizzato, alla fine lo avrai “terronizzato”.

Il Siciliano Espatriato si lamenta spesso delle difficoltà di adattamento a Milano e, in generale, al Nord. Ci si domanda cosa debbano pensare i poveri Milanesi che si ritrovano la città invasa da stranieri. In realtà, ormai, a Milano ci sono più terroni che autoctoni. Siamo diventati caratteristici come le modelle belle. Senza terroni e modelle, Milano non sarebbe Milano. In discoteca si conta un terrone per ogni modella, per le strade uno sguardo di terrone per ogni culo di modella che passa. A Milano, ad oggi è più facile sentire parlare in napoletano che in milanese, o mangiare un’arancina che una cotoletta. La verità è una: abbiamo “terronizzato” pure Milano.

D’altronde, in fondo, sta polenta se condita bene non è poi così terribile. Anzi, spesso è deliziosa. Come lo sono i Polentoni. Dopo anni li inizi a conoscere meglio e a capire come sono fatti.  Sono puntuali, a volte in anticipo. Sono precisi, a volte perfezionisti compulsivi. Sono pieni di energie, a volte dopati. Sono sempre attivi, a volte isterici. Sono salutisti, a volte anoressici. Sono benestanti, a volte milionari. Sono grandi lavoratori, a volte drogati di lavoro. Sono organizzati, a volte schematizzati. Sono alla moda, a volte fashion victim. Sono all’avanguardia, a volte eccessivi. Sono sicuri di sé, a volte presuntuosi.

Sono Polentoni, a volte un po’ troppo, ma per fortuna che esistono. “Gli opposti si attraggono” dice la saggezza popolare, o quantomeno insieme si divertono.